Chi sono
Lara Perentin
photographer
Lara è cresciuta in questi anni nell’arte della sua narrazione fotografica, ha esportato bellezza con suoi scatti, catturato il dettaglio in una forma sempre più sicura e mirata, reso poetico il quotidiano sospeso nella gestualità dei volti, nelle movenze delle pose artistiche, fissato in chi pratica semplicemente la vita di ogni giorno.
“Dipingo quello che non può essere fotografato e fotografo quello che non può essere dipinto. Dipingo l’invisibile e fotografo il visibile” di questa affermazione di Man Ray considero l’invisibile che i lavori di Lara svelano e ritraggono e la sua capacità di fermare l’invisibile. Nell’articolo Apparenze Ingannevoli apparso sul quotidiano Pais Soir del 23 marzo 1926 - che Man Ray conserva nei suoi scritti - è rintracciabile l’origine di uno dei pensieri pubblicati da Georges Ribemont- Dessaignes dove si evidenziano le apparenze ingannevoli che la pittura si ostina a ricercare con mezzi decisamente inferiori a quelli della fotografia. Ecco se dovessi definire la fotografia di Lara mi appoggerei alla declinazione di “fotografia umanista” usata da Michele Smargiassi per gli scatti di Sabine Weiss, per lateralizzarla in “umana”. Un quel qualcosa di “umano” preso nel mentre. Un quel qualcosa che ti rapisce con la sua essenza. Non che sia un’esclusiva proprietà di Lara cogliere l’attimo ma sicuramente è una sua priorità.
Piace di Lara il sussurro che le sue immagini intrappolano e trattengono: “Io sento le foto di Lara. Gli occhi fanno il loro dovere. Ammirano. Ma Lara smuove bene i miei sensi… le foto di Lara si vedono prima, si ascoltano poi “citando Laura Onorato.
L’autenticità le è propria, una forte personalità quella di Lara, prima ancora che un’immancabile sensibilità artistica. I “Sussurri” si palesano via via per manifestarsi in immagini che restituiscono l’attimo avvolto da “attesa, sollievo, angoscia, abbandono, solitudine, pace…”.
Così quando mi disse “Scrivi qualcosa sul mio modo di fotografare, tu per me sei stata la mia Pippo Baudo mi hai portato fortuna” mi ha fatto sorridere e ho accettato la sfida. L’ho fatto con la consapevolezza e correndo il rischio di essere partigiana di una donna che stimo, di cui apprezzo il percorso e la sua capacità di resilienza. Non sempre scrivere di qualcuno che conosci è un vantaggio, si rischia di essere retorico e di scarsa lucidità. Perché l’ho fatto quindi? Perché Lara mi piace a 360°e fra i suoi maggiori difetti c’è quello di non “sentirsi mai arrivata”.
Serenella Dorigo
In un mondo e in un tempo in cui chiunque possiede un corpo macchina fotografico si autoproclama fotografo, è difficile parlare obiettivamente del lavoro di un vero professionista; tanto più del lavoro di quello che, in questa disciplina, è un artista, definendolo come tale senza ombra di dubbio. Non un semplice appassionato, pertanto, un semplice amatore, e nemmeno soltanto un capace tecnico della ripresa. Tanto più quando quel fotografo – anzi, quell’artista – è un’amica di lunga data, di intense esperienze comuni e reciproche.
Siccome non è mai galante dire (né suggerire) l’età di una signora, mi limiterò a dire che conosco Lara Perentin dai tempi della scuola media.
Lara, durante l’adolescenza, è stata quel genere di ragazze che, agli occhi di un imberbe infante qual ero, appare già come una donna fatta e finita. Viso da ragazza matura, non certo da bambina. Non va tanto per il sottile in nessuna delle cose che fa o che le capitano, non ha tempo di soffermarsi a capire le facezie e i fronzoli, già li conosce oppure, più coerentemente con se stessa, li lascia scivolare sulle larghe spalle. Lo sguardo è paradossalmente sereno, rilassato, eppure tanto distante da far pensare che venga sempre trafitto dalla malinconica consapevolezza di indesiderabili esperienze precoci. Nessuna timidezza negli occhi profondi – ecco cosa – che sembrano guardare, più che dritto verso l’interlocutore, al contrario, dentro di sé, alla ricerca del conforto e di una risposta della propria anima; più che uno sguardo curioso e indagatore, un’eco di curiosità che si riverbera a ogni scoperta imprevista. Parla pochissimo, ascolta di continuo, principio fondamentale per chi non vuole ripetere le cose già dette mille volte dagli altri. Un’infinita, affamata tensione per tutto ciò che è estetico, bello. Perché? Non lo sa, forse un giorno se lo spiegherà o se lo farà spiegare, nel momento in cui si vive non ha importanza; anche se non ne avrà mai più della bellezza stessa. Lo coglie e basta. Senza riflessioni di sorta, senza chiedersene i perché e i percome si fa trascinare d’istinto, ma non sbaglia mai nel seguire le sue ispirazioni, lo scatto più breve di un attimo. E se un qualcosa le risulta potente, l’indomabile desiderio di possederlo anima e corpo, nella sua essenza più impalpabile, non lo nasconde e non lo sopprime. Nessuna paura di conoscere, di voler sondare, di ammettere i limiti per oltrepassarli, provare, tastare con mano, costasse qualsiasi gioia o pena profonda. E quante esperienze per davvero, inaspettate, Lara aveva già vissuto a quei tempi sulla propria pelle. Si sa: diventiamo, in tutto e per tutto, ciò che mente e corpo assorbono anche – o soprattutto – per osmosi (uno bravo direbbe: per mimesi). Come ogni artista a tutto tondo, Lara Perentin ha compreso fin da bambina che possedere fino in fondo ciò che si desidera implica la cattura dell’anima, l’atavica essenza che risiede oltre la superficie, il primo e l’ultimo sostrato; per trasferire e fissare, per sempre, quell’essenza nel proprio punto di vista, in quella eco di passione per il bellissimo (come una dinamica musicale assoluta) tutta sua.
Lara, come solo i veri artisti, vive in quel mondo in cui non sono la conoscenza e la tecnica (che, com’è ovvio domina da maestra) a farle da padrone, ma la consapevolezza di come sono fatte le questioni oltre le apparenze. L’unico mondo a esistere davvero per un artista, in cui sensibilità prossime al divino – come le sue – possono compiersi in un’armonia perfetta. Una coerenza spirituale in cui, attraverso gli scatti, le inquadrature, è impossibile distinguere chi siano: lei, gli altri, la figlia, il mare, la luce e l’oscurità, il modo in cui trasmuta in fotografia, attraverso le anime dei soggetti, la propria anima.
Terry Passanisi